Le nostre faccende più profonde

Stretti fra mille impegni quotidiani ci districhiamo agevolmente tra il traffico della città, ci mettiamo in fila, impazienti aspettiamo il nostro turno, presentiamo moduli e facciamo telefonate in serie. Mandiamo messaggi con una tale frequenza, che i nostri volti si sorprenderebbero se sapessero il numero di conversazioni a singhiozzo che gestiamo ogni giorno: “”, “ok”, “come stai?”, “e tu?”, “bene”.

Un minuto diventa un’eternità: quindici, venti messaggi scambiati allo stesso identico minuto. Chi ci sta guardando da altri pianeti ci crede pazzi.

A volte ho paura che tutta questa frenesia ci allontani dalle nostre faccende più profonde, quelle che sanno tormentarci ma anche aspettare, pazienti, in attesa della nostra attenzione.

C’è un mondo che ci allena a molte cose: a stare in forma, a studiare, ad essere performanti, a investire i nostri soldi, a metter su famiglia e ad invecchiare felic

Nessuno ci allena mai alle emozioni.

Alle emozioni sì, qualcuno che ci alleni ad ascoltarci, a sintonizzarci con il nostro io interiore, con i nostri tormenti, le nostre angosce, i nostri limiti, i nostri dubbi irrisolti. Qualcuno che ci educhi al dolore, alla tragedia e al dramma, qualcuno che ci aiuti a trasformare le sconfitte e ad accettare le perdite.

Il mondo che stiamo costruendo è un mondo di persone tutte uguali, apatiche, omologate e in qualche modo perfette. Perfetto significa non avere alcun difetto, mentre un difetto è una mancanza di qualcosa.

Due cose però si incastrano perché ad entrambe manca qualcosa. Sono le nostre mancanze, le nostre imperfezioni, le nostre debolezze che ci aiutano a relazionarci con gli altri. L’altro diventa colui che colma il nostro vuoto, mentre il nostro vuoto dà un senso al pieno che ci viene offerto. Tutti prima o poi abbiamo bisogno di ricevere. Tutti prima o poi sentiamo l’esigenza di dare. Se fossimo perfetti non avremmo bisogno l’uno dell’altro.

Ma il mondo che abbiamo davanti non sta appianando queste diversità? Non sta facendo di tutto per eliminarle, e per proporci di aderire ad una serie di comunità nelle quali ci sentiamo a nostro agio perché tutti la pensano come noi?

Un allenamento alle emozioni potrebbe essere una valida alternativa all’appiattimento emotivo e sociale nel quale ci troviamo. Ci aiuterebbe a calare la maschera imperturbabile che indossiamo ogni giorno. Ci aiuterebbe a convivere con le diversità perché siamo noi i primi a scoprirci diversi dagli altri.

Partirei dal dolore e dalle nostre difficoltà perché credo siano spesso protagonisti della nostra esistenza, compagni di viaggio ai quali non possiamo sfuggire. Non definirei tutto questo pessimismo, viceversa è un’autentica fede nei confronti della felicità.

Le gioie più belle e più durature hanno sempre origine dalle difficoltà e dalla fatica; talvolta persino dal dolore.

E a questo punto del mio, di viaggio, ho capito che c’è un dolore che logora e un dolore che libera. Il primo è un dolore irrisolto, taciuto, scansato e inascoltato. Il secondo è un dolore riconosciuto, accettato, curato e talvolta superato.

Oltre al dolore che logora c’è altro dolore. Oltre al dolore che libera c’è l’amore.

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