La violenza in rete e il senso delle cose

In questi giorni stanno passando ai telegiornali quelle due notizie che raccontano di come una giovane donna si sia tolta la vita a seguito della diffusione di una serie di suoi video hard in rete, e di quella ragazzina minorenne che mentre veniva violentata veniva ripresa dalle “amiche”, tramite i loro smartphone.

In occasioni come queste, si riaccende la discussione sulla rete: cattiva, perfida, e in qualche modo traghetto verso il mare delle cose di dominio pubblico, un mare in cui ciascuno di noi, oltre ad una certa distanza dal porto, nulla può più.

Spiace constatare che se e quando si parla di Internet, lo si faccia sempre e solo per crocifiggerlo; sarà mia cura non spendere parole a difesa della bontà e dell’utilità della rete, pur essendo profondamente convinto che resta un terreno più bello che brutto, più equo che ingiusto, più orizzontale che gerarchico, più libero che vincolato.

Prima di decidere se la rete ci possa essere utile oppure no, prima di dividerci tra quelli a cui internet piace e quelli a cui internet non piace, forse occorrerebbero una serie di riflessioni “offline”.

A furia di stigmatizzare la rete, ci scordiamo di entrare nel merito delle questioni. Sarebbe quindi opportuno intavolare una discussione che non si concentri solo sulle questioni tecniche, ma che affronti soprattutto le questioni morali. E sulla moralità ce ne sarebbero di cose da dire: il tema delle “donne oggetto”, che ancora oggi continuano ad essere schiave del loro corpo, vittime di uomini retrocessi allo stato di animali da cui discendiamo piuttosto che evoluti allo stato di persone a cui aspiriamo. Il tema del bullismo, che prima che essere “cyber“, è fatto di vessazioni in carne ed ossa, e accade a scuola e lungo le strade delle città, ma ancor prima nasce in casa, in famiglia, dove si discute poco del rispetto degli altri, dell’accettazione delle differenze e delle debolezze altrui come delle nostre, dell’obbligo morale (e giuridico) di prestare soccorso a chi versa in uno stato di difficoltà. E ancora: il tema della sessualità, che è stata resa molto più simile a un oggetto materiale da consumarsi facilmente, facendo del sesso un fattore esperienziale, che fa curriculum nel reclutamento tra i giovani gruppi di adolescenti, anziché rimanere una cosa da scoprire, da costruire, da sognare, da gustare con un sacrosanto imbarazzo, e soprattutto, da aspettare.

A questi temi etici se ne accosterebbero altri di altrettanta urgenza, anche se magari un po’ più tecnici: il tema della nostra privacy ad esempio, verso cui ci poniamo ancora troppe poche domande rispetto alla frenesia e alla confusione con cui si delineano i confini tra pubblico e privato, soprattutto online. Come il tema, ostico ma quanto mai importante, del controllo che le grandi compagnie IT oggi esercitano suo propri utenti, tracciandone vita morte e miracoli, nella maggior parte dei casi a nostra insaputa.

Temi complessi, non c’è dubbio, ma accomunati dal voler migliorare l’esperienza di crescita dei ragazzi e la società degli adulti.

Le notizie di questi giorni restano tremendamente tristi e sconvolgenti. Mentre continuiamo a vivere le nostre giornate, lontano da noi, a due giovani donne è stato privato in maniera più o meno definitiva di realizzare sé stesse. Nonostante la nostra lontananza dai fatti, non ci possiamo esimere dal riconoscere che la responsabilità è anche un po’ nostra, che dobbiamo diventare, a partire dal nostro piccolo, scintille di un modo diverso di affrontare questioni come queste.

Capaci quindi di anteporre agli aspetti tecnici quelli morali, e di non confondere il senso delle cose.


Articolo pubblicato su Huffington Post Italia

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