HuffPost: Da Pasolini a Internet, per comprendere la lingua digitale

Provengo da un paese che conta poco meno di novemila anime, un paese che possiede la denominazione di città, ma che starebbe cento volte dentro i confini di una Milano, duecento volte dentro quelli di Roma. Casarsa Della Delizia, dove vivo, è un piccolo paese del Friuli Venezia Giulia che però ha ospitato lo scrittore e poeta Pier Paolo Pasolini, tra i più grandi nomi della letteratura italiana del novecento. Oggi a Casarsa, di Pasolini rimane la sua tomba, un Centro Studi e qualche luogo caratteristico di cui troviamo traccia scritta nei suoi libri o nelle sue poesie.

Sono diversi i suoi libri interessanti, ma tra i vari spunti mi colpisce una frase, questa: “La morte non è nel non poter comunicare, ma nel non poter più essere compresi”, che reputo attuale come non mai, soprattutto nell’ambito delle tecnologie e del digitale in cui lavoro.

Tecnologie e digitale, voci per cui la nostra penisola è tristemente in fondo alle classifiche europee. L’Italia si colloca al terzultimo posto nella graduatoria Europa che misura le persone che tra i 16 e i 74 anni utilizzano regolarmente Internet (dalla ricerca dell’Istat “Internet @Italia 2013 – Popolazione Italiana e l’uso di Internet“). Sotto di noi la Bulgaria e la Romania. Siamo di 16 punti sotto la media europea, con un valore del solo 56% sul totale di persone che utilizzano con regolarità la rete. Questa situazione è indice di tante cose e si presta a diverse riflessioni in merito.

Quel che appare chiaro, è che il 50% (arrotondiamo) di italiani non usa regolarmente Internet: non lo conosce, non ne sente il bisogno probabilmente, non ritiene che sia uno strumento utile al proprio lavoro o alla propria vita quotidiana. Il 50% di popolazione non connessa vuol dire che uno su due non naviga in Rete. Nella pratica significa a titolo esemplificativo che se io faccio un biglietto online per un evento probabilmente all’evento non saranno in grado di acquisirmi il ticket con un software di rete apposito. Se ho necessità di mandare un documento importante via mail, probabilmente l’ente a cui dovrò spedire questo documento riceve solo i fax, o mail non certificate, per cui il mio lavoro sarà vano. Significa che se volessi farmi la carta d’identità digitale non esiste un ente pronto a farmela, o se io andassi in biblioteca per studiare non sempre troverò una connessione Internet alla quale potermi collegare. Con le percentuali sopra descritte, finisce che per ogni servizio Internet usufruibile dal comune cittadino, esiste un cavillo burocratico, un’assenza strutturale, una mancanza culturale di fondo, che ci impedisce di ammodernarci e di apportare delle migliorie significative nelle nostre comunità di riferimento.

In questo caso forse Pasolini ci suggerisce una buona chiave di lettura, che sposta il nostro baricentro critico sulla questione: da semplici amplificatori di un linguaggio ad “analisti”, attenti più che al solo comunicare, anche e soprattutto al farci comprendere.

Perché le nuove tecnologie rese disponibili da Internet risultano più che mai un vero e proprio linguaggio con cui dobbiamo descrivere e decifrare il mondo attorno a noi. Un linguaggio che però va compreso a fondo.

Senza comprensione finiamo per morire, è vero. Muore il nostro paese, che non è capace di ascoltare i bisogni di una società che richiede competitività, accessibilità, velocità, semplificazione, dematerializzazione dei processi e di conseguenza delle cose. Muore la nostra inventiva, che non usiamo per progettare scenari differenti e soluzioni alternative. Muore la nostra voglia di lavorare a progetti a lungo termine, schiavi di una tecnologia per definizione rapida ed in continua evoluzione. Muore il nostro spirito critico, rassegnato e abituato a credere che abbiamo il diritto di parlare male (così, per partito preso) di tutte quelle cose che ancora non abbiamo voluto conoscere e sperimentare. Muore, quotidianamente, la nostra capacità di meravigliarci e di stupirci davanti ai progressi della tecnologia e della scienza, arroccati sulle nostre demonizzanti posizioni che tutto vietano e tutto rifiutano.

Muore insomma l’occasione, enorme, che Internet oggi ci offre.

Quel che invece dobbiamo fare è fidarci un po’ di più. È chiederci “come la rete può migliorarmi la vita?”, indipendentemente dal lavoro che facciamo. È usare Internet per studiare, per informarci, per conoscere e sperimentare cose nuove. Per connetterci: come persone in carne ed ossa, che la rete la utilizzano semplicemente come mezzo per rendere tutta una serie di cose più facili e più veloci, più sicure e più scalabili, più efficienti e più utili. Dobbiamo provare, da insegnanti, da educatori, ad utilizzare Internet per facilitare l’apprendimento dei ragazzi, perché è dimostrato che il digitale non solo facilita lo studio e l’apprendimento, ma che lo migliora, lo potenzia, lo arricchisce, lo rende più stimolante, e insomma, riesce a far sì che i ragazzi siano a conti fatti più preparati.

Per realizzare tutto ciò occorre metterci d’impegno, e cominciare a – comprendere – questi nuovi strumenti, provando come abbiamo fatto e facciamo per la lingua inglese. Servirà cominciare dalle basi, come quando declinavamo le varie forme verbali: io, tu, egli… e sarà così occasione per interrogarci sul come la rete può servire a me, come la rete serve a te, come la rete serve a noi. Facendo lo sforzo di comprendere a fondo quel che facciamo, allo scopo di non rendere vani i tentativi di studio e di analisi dei fenomeni digitali, anche perché siamo leader mondiali nella comunicazione, ma enormemente disabituati a comunicare contenuti comprensibili da tutti.

E allora per capirci, per collaborare, lo sforzo che ci è richiesto è proprio quello di facilitare i processi di comprensione; processi tecnologici e digitali in testa. Proprio come se stessimo imparando una nuova lingua. Perché Internet è una nuova lingua, quella che quanto prima abbiamo bisogno di imparare.

Articolo pubblicato sull’Huffington Post Italia

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